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— Che peccato non esser più giovani!
— Oh, sicuramente.
— Si sarebbe andati a spasso anche noi, e invece ci tocca di star qui a guardarci come due trabaccoli marci in cantiere.
Il conte non potè trattenere un movimento combinato di tutte le rughe del viso.
— Eh — gridò la contessa — pensate voi se io sono andata giù un pochetto, d’essere un bel capo, voi? — Che arie! — Qui la contessa, vociferando sempre, si versò da bere.
— Eh, perchè mi fate quegli occhi? Credete che spanda? Non ho mica la tremarella, sapete. È la tovaglia di santa Costanza, questa? Perchè, digo, credo che siate di quel tempo. Dunque, cosa si diceva? Mi avete fatto perder la testa con le vostre smorfie. Oh Dio che caldo! E star qui con voi! Era ben meglio che fossi andata a vedere questa maledetta cartiera. Quelli si divertono! Via, siate buono! datemi una pesca. Se si divertono! Grazie, tesoro. Dite sì o no che si divertono?
— Non lo so.
— Non lo so? Io sì che lo so. Bello quel non lo so.
— Vi piace quella pesca?
— No, non val niente. Cosa c’entra la pesca? Lasciate star le pesche, caro voi. Che uomo che si perde con le pesche! Cosa dicevamo?
— Io? Niente.
— Niente fa bene per gli occhi e fa male per la bocca. Parlate, dite su. È un’ora che parlo io. Mi fate compassione. A questo modo scoppierete. Contate su. Perchè non volete che quei ragazzi si divertano?
— Udite — disse il conte sorridendo — io mi sono divertito molto da un’ora a questa parte e siete voi che mi fate compassione. Voi volete passare piano piano un’acqua un po’ larga e profonda e andate su e giù per la riva, cercando il ponte che non c’è. Non vi resta che saltare, cara cugina. Saltate pure, non vi farete male.