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no, ma intanta non sarebbe più stata ad ammuffire in quel mostro d’un sito, fabbricato dal diavolo per i suoi figli. Allora le si faceva osservare che il matrimonio non era poi mica ancora sicuro; e qui cominciavano le congetture, si avviavano delle conversazioni come questa:

— Lui già è innamorato morto. — Ho visto io ieri che alzandosi da tavola lei aveva impolverata la punta d’uno stivaletto. — Ouf, mica vero. — Come, mica vero? Ce lo dico io. E poi si mangian su cogli occhi. — Invece no. Lei non ci guarda quasi mai. È lui che è sempre lì a questo modo! — Storie! — Già si sa che la signora Fanny non vuol credere. — Perchè non voglio credere, signor Paolo? — Non ha preso su qualche mezza oncia, Lei, dal signor conte? — Ebbene, cosa c’è dentro? — Qualche bacio? — Bugie, bugiacce! Non ha vergogna? Nessuno me ne ha fatto dei baci a me. — Eh lasciate dire, benedetta. C’è la libertà qui. Prima se lassa far dopo se lassa dir; voi non c’entrate. E poi cos’è un bacio. Tempo buttato via. — Oh che süra Catte! — Cosa dice Momolo? Che si faccia l’affare o no? — Cosa volete che dica? Bezzi cercan bezzi. — Ehi, guarda un po’, è mica da merlo quella risposta lì. Già, l’è così la storia. Lui le fa l’asino, tanto per parere; e lei che ci vuol bene al padrone qui come al fumo negli occhi, lei se lo lascia fare tanto per cavarsela; ma l’è tutta una macchina dei vecchi. Han denari come terra e voglion fare un mucchio solo. — Tacete, ha ragione qui lui! Stamattina la contessa ha preso una rabbia, perchè sono andata in sala mentre l’era sola col signor conte e poi è venuto il Sindaco e non andava mai via, mai via e mai via, che bisognava vedere! Certo la ci voleva parlare e non ha potuto, perchè poi sono tornati a casa gli altri. È chiara, neh, süra Catte? — Come questo caffè, vecia.

Catte aveva poi dei colloqui intimi con Fanny nelle passeggiate vespertine che facevano insieme. Donna Catte

Picoleta ma furbeta