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chiese permesso alla signorina, con ingenuo accento di desiderio, di farle vedere la biancheria più fine e i paramenti più ricchi. Tutto era distribuito col massimo ordine nel grande cassettone della sagrestia, dai purificatori candidi e odorati di lavanda sino al piviale delle maggiori solennità appena giunto da Novara. Il curato spiegava e ripiegava ogni cosa con garbo femminile.

— Vedo bene, signore — diss’egli a Steinegge, — vedo bene, che Ella vorrebbe dirmi: Ad quid perditio haec? Un vecchio prete non deve avere i gusti di una giovane signora. Che vuole? Questa povera gente ha piacere così. Intendono di onorar Dio, e Dio vede il cuore. — Non disse quanto avesse aiutato il voto dei parrocchiani con le proprie economie pertinaci e dure; perchè egli, nato da famiglia signorile, aveva abbandonata ai molti fratelli la sua parte dell’eredità paterna. I fratelli, che lo conoscevano bene e lo amavano, gli avean regalato, poco tempo prima della visita degli Steinegge, un bell’organo di Serassi. Al primo Dominus vobiscum della prima Messa solenne celebrata con l’organo nuovo, don Innocenzo era rimasto per due minuti fermo con le braccia aperte a bearsi dell’onda sonora e del luccicar delle canne, là sopra la porta maggiore. Ora volle mostrare agli Steinegge anche l’organo. Edith era così affabile, suo padre tanto compito, che don Innocenzo vinse presto del tutto la propria timidezza, e uscito di chiesa con essi, dimenticò il caffè che l’aspettava, per far loro mille domande curiose sulla Germania, sui luoghi, sui costumi, sulle arti, persino su Goethe, Schiller e Lessing, soli autori tedeschi di cui conoscesse il nome e avesse letto qualche opera. Pareva a lui che un tedesco dovesse conoscer tutta la Germania da capo a fondo e ogni fatto, ogni parola dei suoi compatrioti illustri d’ogni tempo. Un altro nome tedesco ricordava, Beethoven. S’informò anche di quello. Raccontò che a sedici anni aveva sentito eseguire da una signora una suonata di