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la soddisfazione dell’uomo povero che ha necessità di parlare ad un potente di cui teme lo sdegno e, per non essere ributtato dai servi, lo affronta sulla via, gli dice le sue ragioni con la brusca brevità che il tempo richiede, n’è ascoltato in silenzio e pensa quel silenzio copra un principio di combattuta pietà. Accese un sigaro per vincere la commozione che gli stringeva la gola. Il capitano Steinegge non doveva piangere. Fumò con furia, con rabbia. Appena chetato l’animo, guardando a terra con il sigaro tra l’indice e il medio della destra, gli parve che i fili d’erba tra sasso e sasso uscissero a dir qualche cosa di solenne o d'incomprensibile e che rispondesse loro il mormorar dei cespugli. Ed egli, benchè tedesco, non aveva mai compreso il linguaggio della natura, non era mai stato sentimentale! Il sigaro gli si spense in mano. Che voleva dir questo? Si scosse, si alzò in piedi e discese verso la chiesa.
La gente ne usciva; prima gli uomini che si fermavano sul sagrato in capannelli, poi le donne. Steinegge ristette sul sentiero a guardare la corrente variopinta che sboccava dalla porta maggiore; aspettava il cappellino nero di Edith. La corrente si venne rallentando e diradando. Quando cessò il pericolo di urtarsi a gomiti villani, comparvero la contessa Fosca e Marina, seguite da Nepo; poi tre o quattro vecchierelle: poi più nessuno. Anche i capannelli si sciolsero, il sagrato si vuotò. Steinegge, inquieto, venne a dare un’occhiata in chiesa. Non vi erano più che due persone, il curato inginocchiato sul primo banco presso l’altar maggiore e, otto o dieci banchi più indietro, Edith.
Steinegge si ritirò adagio adagio e sedette sul muricciolo del sagrato. Gli batteva il cuore. Qual viso gli farebbe Edith! Ella uscì subito, frettolosa e sorridente; gli disse che s’era accorta di lui senza vederlo, perchè aveva già imparato a conoscere il suo passo, e gli domandò scusa d’averlo fatto attendere. Nella fretta d’uscire