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una parola a questo Dio, posto che ci sia! — Si alzò in piedi e si mise a parlare in tedesco a voce alta: — Signor Dio, ascoltatemi un poco. Non siamo amici? Sia. Io ho detto molto male dei preti; di Voi nè a Voi non ho mai parlato. Se tuttavia Voi volete trattarmi da nemico, io vi prego di fare i conti. Dicono che siete giusto, e lo credo, signor Dio. Guardate nel vostro libro la partita Andrea Steinegge fu Federico di Nassau; guardate se non ho pagato abbastanza. Voi siete molto grande; io molto piccolo; voi sempre giovane, io sono vecchio e stanco. Cosa volete prendermi ancora? L’amore di mia figlia Edith! Non ho altro, signor Dio. Guardate se potete lasciarmelo. Se non potete, spazzatemi via, per Dio, e finiamola.

Al suono della propria voce Steinegge si commoveva e s’inteneriva sempre più. Mise un ginocchio a terra.

— Vi conosco poco, signor Dio, ma la mia Edith vi vuol bene, e io posso adorarvi, se volete. Vedete, mi inginocchio, ma intendiamoci noi e lasciamo da banda i preti. Forse posso dirvi qualche altra cosa. Io ho la mia salute che è di bronzo. Pigliate questa. Fatemi morire a poco a poco, ma non mettetevi fra Edith e me. Io non posso inginocchiarmi davanti ai preti e mentire. Sono leale, sono soldato.

— Signor Dio — qui Steinegge posò a terra anche l’altro ginocchio e abbassò la voce. — Io ho paura d’aver molto peccato nella mia giovinezza. Ho amato il giuoco e le donne, le peggiori. Tre volte, sulle dodici che mi son battuto in duello, ho provocato io, ho ferito l’altro e avevo il torto. Credo che questi siano stati tre peccati; li ho sempre avuti nel cuore. Signor Dio della mia Edith, vi domando perdono.

Non disse altro e tornò a sedere, commosso ma contento di sè. Gli pareva d’aver fatto un gran passo. Parlando a Dio, la sua scarsa fede si era tanto accresciuta ch’egli ora ne aspettava qualche risposta. Provava almeno