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preghiera che passava su tutte le teste chine, moveva diritto a Dio, gli diceva in faccia: — Signore, Signore, tu che sai quanto l’hanno offeso, non sarai pietoso con lui? — Il suo viso pensoso non esprimeva la rassegnazione ascetica, ma una volontà ferma e intelligente, velata di tristezza.

E lui intanto, il nostro onesto amico Steinegge, ascoltava Messa in excelsis, seduto fra gli allori, abbracciandosi le ginocchia. Egli era proprio uscito di chiesa perchè il pavimento gli scottava. Da quanti anni non aveva posto piedi nelle prigioni, come diceva lui, di Domeneddio! Non aveva osato lasciar sua figlia sull’entrata della chiesa; ma, appena oltrepassata la soglia, quando Edith si avviò a pigliar posto nei banchi riservati alle donne, egli si pentì di aver male presunto delle sue forze. Non erano tanto i suoi odî fieri quanto un sentimento d’onore che lo spingeva indietro. Il vecchio lupo uscì dal gregge.

Accovacciato lassù come un lupo malinconico, non curava affatto la deliziosa scena di monti, di acque, di prati che rideva davanti a lui; nè udiva i blandimenti delle frondi che gli sussurravano intorno. Guardava giù il tetto della chiesa e ascoltava il suono confuso di canti e d’organo che ne saliva tratto tratto. Aveva un pensiero solo e lo lavorava per tutti i versi:

— Agli occhi suoi sono un reprobo.

Pensiero amaro. Aver tanto combattuto, tanto sofferto, custodito l’onore contro la fame atroce, contro tutte le violente voglie del corpo estenuato, tutte le viltà della stanchezza; averlo così custodito quasi più per lei che per sè, amarla come l’amava, ed esserne giudicato un reprobo! Dovrebbe egli dunque umiliarsi davanti ai preti che l’avevano fatto maledire dai parenti suoi e da sua moglie ed erano in colpa degli stenti, della morte di lei? — Finirò così — pensò — mi avvilirò, purchè Edith mi voglia bene. — Gli venne un’idea. — Se dicessi

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