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Il conte Cesare rispose brevemente che si compiaceva delle buone qualità di Nepo, e approvava riguardo al matrimonio, le idee della cugina; che avrebbe gradito assai la visita e sperava riuscirebbe gradita anche a sua nipote. Questa mandò due righe di fredda cortesia irreprensibile, che diedero un po’ da pensare alla contessa Fosca, perchè gittavano un’ombra sulla lettera dello zio, la quale poteva interpretarsi per un assenso anticipato con la solita clausola — se piace — . Ma donna Costanza le fece riflettere che, nel caso di Marina, un gran riserbo era della più stretta convenienza. Così Sua Eccellenza s’imbarcò e fluttuava in alto mare, quando dopo le chiacchiere e le inattese rivelazioni di Catte, comparve Nepo.
Sua madre lo accolse con una faccia sepolcrale, lo fece sedere e dopo un solenne — Fio, qui nasce questo — gli spifferò d’un fiato tutta la storia di Catte, tenendo indietro il più grosso, smorzando e rallentando la voce sempre più. — Finì col metter fuori la supposta paternità del conte e ripetè in forma di epilogo, con voce sommessa e solenne:
— Un fio!
Nepo rimase imperterrito. Disse ch’era ormai interamente sicuro di piacere a Marina, poichè ella si trovava male in casa dello zio. Quanto al figlio, non valeva la pena di occuparsene. La contessa non voleva credere a’ propri orecchi e se lo fece ripetere due volte. — Eh, so quello che dico!— esclamò Nepo impazientito — Se sposerò mia cugina non sarà per i denari. Sciocchezze, cara mamma, queste. — Fosca andò sulle furie, sempre sotto voce. Nepo si stringeva nelle spalle e taceva; ma quando sua madre dichiarò che sarebbe partita la sera stessa, egli, giuocando furiosamente, prima delle sopracciglia e del naso, poi del capo, scosse via l’occhialino, assalì la contessa a rimproveri, a sarcasmi e affermò che non sarebbe partito quand’anche si fossero dati la posta al Palazzo tutti i Silla dell’universo.