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Pare incredibile; Steinegge a prima giunta non capì. Egli portava sempre viva nel cuore l’immagine di sua figlia quale l’aveva lasciata bambina di otto anni, piccina piccina, con due occhi grandi e dei lunghi capelli biondi. L’atto, le lagrime della giovinetta gli dicevano « è lei, » ma egli comprendeva e non comprendeva nel tempo stesso; non poteva così rapidamente immaginare una trasformazione simile. — Oh, papà! — diss’ella fra la tenerezza e il rimprovero. Allora solo il suo cuore e la sua mente s’illuminarono insieme. Con parole rotte, incoerenti, si buttò ginocchioni a’ piedi di sua figlia, le afferrò una mano, se la strinse alle labbra. Con la infinita gioia che gli faceva veramente male a tutto il petto, alla gola, sentiva pure una gratitudine umile senza confine.

— Edith, cara, cara Edith, bambina mia — diss’egli con voce soffocata. — Ma è Lei proprio Edith? Ma come puoi esser tu?

È carità pel povero Steinegge non ripetere le parole assurde che gli uscirono di bocca in quei momenti deliziosi. La improvvisa gioia intorbida il pensiero, come certi liquori forti e soavi intorbidano l’acqua pura.

Edith taceva, rispondeva a suo padre serrandogli la grossa mano tra le sue, nervose, appassionate.

Un lume brillò sulla porta del palazzo e vi rimase fermo.

— Papà — disse subito Edith — mi presenti.

Steinegge si levò a malincuore. Non aveva badato a quel lume impertinente: sarebbe rimasto lì tutta la notte solo con lei e non capiva tanta fretta d’essere introdotta. Non pensò nè l’anima sua leale poteva immaginare quali false, perfide parole fossero state sussurrate a sua figlia contro di lui. Edith non le aveva volute credere, ma qualche dubbio angoscioso n’era ben rimasto in lei; ella temeva, almeno, che anche lì in quella casa sconosciuta si potesse pensar male di suo padre. Essa conosceva già il mondo assai meglio di lui che ne aveva veduto tanto.