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— Sì, me l’ha detto e io gli ho risposto: abusiamo, benedetto. Cosa sarà? Mio cugino non ha egli un cuor di Cesare? Oh se avessi mai saputo che bisognava fare questo dio di strada, vi dico in fede, non avrei abusato. Caro il mio caro pampano, non dite niente che si doveva venir stamattina? Non sapete?

— Sì, sì, mi racconterete quello — disse il conte che non ne poteva più. — Intanto venite di sopra. — Vengo, anima mia, se posso. Vi raccomando il mio Momolo e la mia Catte. Son vecchietti, povere creature, credo che saranno mezzi morti. Tiratemeli su. A proposito, Catte, dov’è quella ragazza? Non ha veduto, signor orso, che cocola le ho condotto?

Non era dunque una seconda cameriera la giovinetta vestita di nero che stava dietro la vecchia Catte? No, ell’aspettava che la prima tempesta dell’incontro si chetasse. Si fece avanti e disse al conte Cesare parlando in buon italiano, ma con un forte accento straniero:

— La prego, signore, di volermi dire se il signor capitano Andrea Steinegge abita qui.

Era una voce melodiosa, dolce e ferma ad un punto. — Sicuramente, signorina — rispose il conte, meravigliato. — Il mio buon amico Steinegge sta qui. Egli non usa veramente di farsi chiamare capitano, ma...

— Era capitano, signore. Capitano austriaco, agli usseri di Liechtenstein.

— Oh, non ne dubito, signorina. Credo anzi che una volta il signor Steinegge mi ha raccontato quello. E Lei desidera vederlo?

La voce ferma della giovinetta parve mancare. Si udì appena un bisbiglio.

— Eh? — ripetè il conte con accento benevolo.

— Sì, signore.

— Ora è fuori, ma verrà presto. La prego di salire ad aspettarlo.

— Grazie, signore. Rientrerà egli da questa parte?