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La luce della luna mancava rapidamente. Fiocchi veloci di nubi, come spume, l’avevan raggiunta, oltrepassata: ora giungevano i cavalloni grossi ed ella vi affondava, non pareva più che un fanale rossastro, perduto nella tormenta, vicino a spegnersi.
— Allora? — esclamò Silla — perchè?
Le altre parole si perdettero nello schiamazzo improvviso delle onde intorno a lui. Una raffica violenta gittò Saetta sul sasso dov’egli stava. — Scenda! — gridò curvandosi ad afferrar la sponda della lancia perchè non vi urtasse. — Subito!
— No, spinga via, vado a casa!
Benchè fossero tanto vicini da potersi toccare, riusciva loro difficile intendersi. Le onde, cresciute di botto smisuratamente, tuonavano sulla riva con un fragore assordante; il timone, la catena, i remi della lancia abballottata strepitavano. Silla vi si stese su, l’allontanò dalla riva con una disperata spinta e vi cadde dentro. — Al timone! — gridò afferrando i remi. — Al largo! Contro il vento! — Marina obbedì, gli sedette in faccia stringendo i cordoni del timone. Ormai il cielo era tutto nero, non ci si vedeva più. Si udiva il tuonar delle onde sulla riva sassosa, sui muricciuoli. Là era il pericolo. Saetta, spinta troppo vigorosamente, alzava la prua sull’onda, la spaccava cadendo a gran colpi sordi; entrava nelle più grosse come un pugnale; allora la cresta spumosa ne saltava dentro, correva sino a poppa. La prima volta, sentendo l’acqua, Marina alzò in fretta i piedi, li posò su quelli di Silla. Nello stesso punto un lampo spaventoso divampò per tutto il cielo e pel lago biancastro, per le montagne di cui si vide ogni sasso, ogni pianta scapigliata. Marina sfolgorò davanti a Silla con i capelli al vento e gli occhi fissi nei suoi. Era già buio quando egli ne sentì nel cuore il fuoco. E quei piedini premevano i suoi: premevano più forte quando la poppa si alzava; ne sdrucciolavan quindi e vi si riappiccicavano.