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— Ah, e la prima no? — riprese Marina lasciando cadere i remi e incrociando le braccia.

— La seconda scena — proseguì Silla senza badare all’interruzione — non ha luogo qui. Stia tranquilla; da questa notte in poi non vedrà più nè il dramma, nè il protagonista. Se ha sospettato, nel candore, nel disinteresse dell’anima Sua, ch’io fossi più d’un amico per l’uomo di cui Ella è nipote ed erede, si rassicuri, neppure amico gli sono più forse; perchè pochi momenti or sono, di nascosto, come un malfattore, ho lasciato per sempre la sua casa ospitale, dov’è spuntato, in qualche angolo freddo e ombroso, questo vile sospetto. Se lei poi ha temuto — qui la voce di Silla tremò — di qualche sinistro disegno su donna Marina di Malombra e Corrado Silla, è stato un inganno ben grande il Suo. Se il conte me ne avesse parlato, gli avrei tolta questa illusione, perchè Lei è troppo al di sotto di quell’altero cuore ch’io voglio, capace di disprezzare, come le disprezzo io, la ricchezza e la fortuna. E adesso, marchesina, ho l’onore...

— Una parola! — gridò Marina avvicinandoglisi di fianco con due colpi di remi, perchè una repentina brezza di levante portava via adagio adagio la lancia.

— Il Suo dramma fantastico non va. Ella ha la bontà di farsi una parte eroica. Facile; ma c’è la critica, signor Silla. Dove ha scoperto Lei questa cosa ridicola che io sono una ereditiera sospettosa? Non ha mai veduto quanto mi curo di mio zio? E come osa Lei parlare di progetti sulla mia persona? Le pare che voglia turbarmi di quanto mio zio e Lei possano aver l’impudenza di pensare e di dire?

Intanto Saetta dilungava da capo per la brezza ringagliardita. Marina diede un colpo di remi e si voltò a guardar Silla. La lancia corse un istante contro il vento, contro le onde che gorgogliavan forte sotto la chiglia, e girò subito, respinta, sul fianco sinistro.