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nel cuore, me lo piglierei volentieri pur di vedervi più contento.

Silla si alzò, gli gettò le braccia al collo.

Steinegge, rosso rosso, impacciato, andava dicendo:

— Oh no... signor Silla... io ringrazio — e si sciolse piano piano da quell’abbraccio. La sventura, la miseria, le amarezze d’ogni sorta lo avevano umiliato sino a renderlo schiavo della famigliarità di coloro cui egli attribuiva una condizione sociale superiore alla sua.

— Bisogna esser così un poco filosofi — diss’egli. — Bisogna disprezzare questa persona. Credete che non ha offeso me otto e dieci e venti volte? Non ricordate stasera quando mi ha parlato, come a un servo? Io ho disprezzato sempre. Quella non ha cuore, nè una briciola. Voi dite quella, voi italiani, una donna onesta, perchè non fa questo che sapete. Voi dite donne vili le altre. Ma io dico: questa, questa (Steinegge batteva rabbiosamente le sillabe) questa è vile. Insulta me perchè sono povero, insulta voi per passione avara.

— Per passione avara?

— Sì, perchè immagina che il signor conte vuol porre voi nel testamento.

— Dunque — diss’egli — ha proprio voluto dire...

— Ma!

— Come, come mai? — ripetè Silla angosciosamente.

— Eh! Qui lo hanno detto tutti.

— Lo hanno detto tutti?

Dopo un lungo silenzio, Silla si avvicinò lentamente a Steinegge, gli posò le mani sulle spalle e gli disse con voce triste e tranquilla:

— E Lei, crede Lei che se vi fosse una macchia sulla memoria più sacra ch’io m’abbia, sarei rimasto qui a farne testimonianza?

— Non ho mai creduto questo. Il signor conte non vi avrebbe chiamato qui; conosco molto bene il signor conte.