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porta nessun dono, e poi, per fortuna, ha un profilo così poco greco! Non le pare, marchesina?

Marina rispose asciutto che non si occupava di greco.

— E lui son quarant’anni che va dimenticando di essersene occupato male — disse il professore. — Non gli dia retta. Del resto, non sono greco ma ho il Pattolo in tasca. Duecentocinquanta fra operai e operaie, una dozzina d’impiegati tecnici ed amministrativi, l’esempio, sopratutto l’esempio! Sapete quanti opifici si potranno piantare con quell’acqua lì! Dopo verrà la necessità d’una ferrovia.

— Prova generale — sussurrò il commendator Vezza.

— Insomma il Municipio di R... mi deve buttare ai piedi la strada, il terreno e il diploma della sua cittadinanza.

— Castelli di carta. Ah, una trota, salmo pharius. Rossa, di fiume. Queste ce le guasterai di sicuro con la tua carta.

Ciò detto, il comm. Vezza impegnò con il conte, l’ingegnere e Steinegge un dialogo assai vivo sulle trote d’ogni razza e paese, sulle reti, sugli ami, sulla piscicoltura. Intanto l’uomo politico trovò modo di avviarne uno più intimo col dottore, suo vicino, intorno a Corrado Silla; ne raccolse con voluttà le maldicenze che correvano sulla origine del giovane. Quando poteva mettere il dito sopra una debolezza umana di quel genere, una debolezza di puritano, inaspettata, curiosa, era felice.

— Dunque — diceva il comm. Vezza — per le trote di fiume s’infilza sull’amo una mosca... o un lombrico...

— O un poeta tedesco — suggerì l’ingegnere.

— No, chi ne mangia? Neppure un ingegnere. Gli è per pigliare i sindaci lacustri che s’infilza sull’amo un pezzo grosso dell’Università incartato in un progetto...

Qui il commendatore si cacciò in fretta una mano sulla bocca, perchè, annunciati dal cameriere, entravano il Sindaco e la Giunta di R...