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Dicendo queste parole Marina sorrise di un sorriso enigmatico di cui Silla non capì il veleno.

— Di rappresaglia — rispose.

— Oh! — esclamò Marina. Un lampo di sdegno le passò negli occhi.

L’uno e l’altro pensarono in quel momento a un predisposto legame, fosse pure d’antagonismo, d’inimicizia, nel loro futuro destino.

— È dunque vero — disse Marina sottovoce — che Lei giuoca un’altra partita qui al Palazzo?

— Io? — rispose Silla, sorpreso. — Non so cosa Lei voglia dire.

— Oh, lo sa! Ma Lei giuoca prudente, giuoca coperto, non ha ancora mosso la Regina. Povero orgoglio il Suo! E parla di rappresaglie! Non mi conosce, Lei. Mi hanno scritto poco tempo fa che sono superba, che vorrei vivere in una stella di madreperla, e che in questo pianeta borghese, in questo sudicio astro di mala fama, non c’è posto, per me, di posare il piede. Risponderò che il posto l’ho trovato e...

— Ecco mia nipote — disse il conte entrando con alcune persone.

Silla non si mosse. Guardava Marina con gli occhi sbarrati. La sua corrispondente, Cecilia, lei!

— Il signor Corrado Silla, mio buon amico — soggiunse il conte, — il quale ha ancora la testa negli scacchi, a quanto pare.