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quenza. Non ne aveva ottenute tre parole in venti giorni; anche senza parlare ella gli aveva ben fatto intendere che non lo stimava degno nè di cortesia nè di attenzione. Almeno Silla credeva così, e fino dai primi giorni si era regolato con lei secondo questa idea, opponendo alterezza ad alterezza, non senza soffrirne però, non senza una specie di voluttà amara che in presenza di lei gli stringeva forte il cuore. E ora gli pareva di attraversarle il cammino, di fermarla, volesse o no, di chiederle cosa credesse mai...
— Dunque, dottore? — disse una voce dietro a lui.
Silla si voltò in fretta. Era ben lei, donna Marina, seduta davanti allo scacchiere.
— Io prendo il nero — diss’ella, guardando attentamente i pezzi.
Ell’era dunque venuta leggiera come una fata, o Silla si era ben lasciato affondare nei suoi pensieri!
Egli non si mosse.
— Dottore! — disse Marina con accento di sorpresa. Alzò la testa e vide Silla.
Aggrottò un istante le sopracciglia, tornò a guardare attentamente lo scacchiere, e disse con la sua voce gelida:
— Dov’è il dottore?
— Non lo so, signorina.
— Avvicini un poco le imposte — soggiunse Marina quasi sottovoce, senza guardarlo.
Silla finse di non aver inteso, si staccò dalla finestra e passò dietro a lei, per uscire. Ella non alzò il capo, ma quando Silla fu presso all’uscio, gli disse, sempre sullo stesso tono:
— La prego, avvicini un poco le imposte.
Silla tornò indietro silenziosamente, senz’affrettarsi, avvicinò le imposte e si avviò da capo alla porta.
— Sa giuocare? — disse donna Marina.
Silla si fermò, sorpreso.
Ell’aveva alzata la testa, finalmente; ma adesso faceva