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— Che veniate avanti! — gridò il conte.

Ella fece un passo.

— E che non v’immischiate di aprire nè di chiudere imposte nelle mie camere! E che non perdiate tanto tempo in giardino dove non c’è niente per voi!

Il povero dottore, sulle spine, aveva insinuata la punta del naso fra il Re e la Regina, e fissava fieramente il pedone avanzato del Re nemico.

— È la marchesina... — cominciò Fanny provocante, facendo girar la maniglia dell’uscio.

— Dite alla marchesina di venir qua — interruppe il conte.

Fanny se ne andò battendo l’uscio e brontolando.

— Sciocca! — disse il conte, ritirando la sua Regina dalla seconda casa dell’alfiere del Re avversario, dove l’aveva portata senza avvedersi che un cavaliere la minacciava.

Fece un’altra mossa e soggiunse:

— Non le pare, dottore?

— È magari un po’ leggerina, sì, già — rispose vigliaccamente il pittòr, spingendo due passi il pedone della Regina e offendendo il pedone del Re avversario.

— Tenga bene a mente, caro dottore — disse il conte — non si perda colle pedine, specialmente quando giuoca in casa mia; non le tornerebbe conto davvero.

Il dottore fece fare al suo cavaliere un salto fantastico.

— Cosa fa? — disse il conte.

Quegli si battè la fronte, ritirò il pezzo e disse ch’era ottuso per il gran caldo, ch’era partito di casa alle undici e aveva fatto quattro o cinque visite sotto il sole bruciante.

— Oh! — esclamò il conte trasalendo e guardando l’orologio. — E io che dimenticavo! Debbo andar a incontrare alcuni amici.

Al dottore non parve vero di poter troncare quella partita penosa.