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il mare. 53


La cresciuta potenza de’ Fenicî, agevolando gli scambî o i commerci, spinse navi veliere su tutte le coste del mare interno, ed oltre; e la signorìa delle acque cominciò a invogliare pertinace le ambizioni dei governi e de’ popoli. Ma le nazioni sorgono, trionfano e — obbliate le severe virtù — cadono in un periodo determinato, quasi individui; l’ala del tempo si stende fatale sugli uomini e sulle cose, e dalla vece continua del trasformarsi di natura deriva il lavoro della umana perfettibilità, risultante delle forze fisiche e intellettive del mondo.

Chi ha insegnato a Roma, ancor adulta, a fabbricarsi le prime triremi, che dovevano poscia asservire la di lei potente rivale? Gli avanzi sventurati de’ legni cartaginesi, che la fortuna del mare aveva sbattuto sui lidi del Lazio.

O mare! tu cessasti di essere l’amico dell’uomo dal giorno, che la furia delle più tristi passioni così rôse il suo cuore, che il nostro destino venne incontrastabilmente trascinato, come volle il filosofo, a stato continuo di guerra: d’allora, fremesti sui fianchi delle carene, che trasportavano l’immortale Genovese all’occidentale emisfero, le catene che avrebbero fatto lividi i polsi dell’infelice scuopritore. A Filippo II ingoiasti