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terre e castella della Toscana dalle valli della Sieve a quelle dell’Arno inferiore, dalle sorgenti dell’Ombrone pistoiese a quelle del Savio in Romagna.

Giungemmo dove un torrentello cascando da una balza attraversa il sentiero e va giù a perdersi fra i ciottoli dell’Orsigna. Allora poverissimo d’acqua, in certi tempi doveva ruinare quale impetuosa fiumana; e al di sotto della strada, sulla sua destra, restavano ancora non dubbi segni della sua potenza devastatrice, le rovine di una casa, forse un mulino. Gli avanzi di quelle mura annerite, cinte al piede di cespugli d’ortiche e di rovi, rischiarate allora dalla luna, ci fecero fermare a guardarle.

— Ho sempre avuto vaghezza, fin da fanciullo, diss’io, quando mi trovava dinanzi a vecchi ruderi di case o castelli, di saperne la storia, la storia de’ tempi sereni e dei burrascosi. Vi è sempre qualche cosa da imparare, e chi sa che questi quattro muri screpolati e barcollanti non abbiano anch’essi la loro piccola epopea da narrare.

— Pur troppo l’avranno, soggiunse l’amico mio. La vita su queste montagne non sarà ricca di avvenimenti strepitosi, ma neppur povera di miti e semplici affetti, tramezzati da dolori acuti, lunghi, tremendi, sì, ma senza amarezza.

— Guárdino, interruppe il giovine brigadiere; e in così dire accennava col dito un rialto di terreno in mezzo il fiume con cinque o sei grossi macigni aggruppati: due anni sono, là, su quei massi moriva annegata una povera ragazza; non aveva compito vent’anni.

Qualche cosa che risvegliava la nostra curiosità e dava maggiore spicco a quella gita notturna così