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con pochi cenci e stracci, che gli svolazzavano dietro alle spalle.
Nella catastrofe di questo dotto Tebano ci fu alcuna cosa di si ridicolo, che io diedi in uno scroscio di grassa risata, con la quale finì ogn’illusione. Il tumulto, il tafferuglio erano in sul cessare. La camera tornava alla consueta forma. Gli antichi autori riprendevano le loro sembianze dipinte, e tornavano colla severa maestà de’ volti a star sospesi su per le pareti della sala. In breve, io mi trovai affatto desto nel mio luogo, in compagnia di tutta l’assemblea di que’ rosicchiatori di libri, che mi guatavano con istupore. Nulla di quel sogno fu reale, salvochè lo scroscio del riso; per l'innanzi neanco uno zitto erasi mai fatto udire in quel santuario della sapienza, ove gli orecchi non patiscono rumore alcuno.
Il bibliotecario in quel punto mi si presentò, domandandomi s’io avessi il polizzino d’entrata. Sulle prime io non lo intendeva, ma tosto mi avvidi esser quella biblioteca una specie di privativa letteraria, soggetta alle medesime leggi della caccia, e dove niuno poteva entrare a far suo bottino, senza special licenza e permissione. In una parola, mi convinsi di esser io là dentro un furtivo ed errante cacciatore, e fui lieto di uscirne incontanente per non avere addosso tutt’i vecchi volumi di quegli autori.
Washington Irving. |