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ribondi per far richiamo della proprietà lor rubata.

La scena del darsi a gambe e del tafferuglio, che ne successe, vince ogni descrizione. Gli sventurati colpevoli cercavano indarno a svignarsela col loro bottino. Dall’un canto si poteva vedere una mezza dozzina di vecchi, i quali spogliavano un moderno professore; all’altro si menavano le mani sullo stuolo de’ più recenti scrittori drammatici — Beaumont e Fletcher quinci e quindi spietatamente disertavano attorno il campo, come Castore e Polluce, e l’ardito Johnson faceva maggiori valenterie, che non facessero i volontarî nell’esercito di Fiandra. E siccome il piccolo e gaio compilatore di miscellanee, poco innanzi rammentato, erasi rimpannucciato di variopinte vesti a mo’ di Arlecchino; così nel luogo ove egli trovavasi, avvenne tanta e si fiera batosta, quanta forse non ne successe attorno al corpo dello spento Patroclo. Forte mi doleva il vedere alcuni uomini, cui io era uso tenere in gran conto e reverenza, affaticarsi a fuggire con pochi cenci addosso per nascondere la loro nudità. Il mio occhio erasi appunto incontrato in quel magistrale e canuto gentiluomo dalla gran parrucca arricciata, il quale, preso da indicibile spavento, se la dava a gambe inseguito da una mezza ventina di autori, che, a quanto ne avevano in gola, gli gridavano dietro: Al ladro! Costoro erano chiusi della persona in abiti bene attillati fin sopra le anche, con parrucche accuratamente pettinate, e ad ogni strappata che davano, un qualche gherone del vestimento era portato via a quello sciagurato, finché in pochi momenti dalla sua altiera vanità si ritrasse tutto ansante, malconcio e ferito, uscendo dalla gran sala