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mente la sapienza classica, ovvero quella pura ed incontaminata inglese; cosicchè i loro pensieri crescono e s’invigoriscono di quegli studi.
Conoscendo ora il segreto, mi posi in disparte in un cantuccio, e con ogni attenzione guardavo all’andamento di questa manifattura di libri. Mi fermai su di un tale dalla piccola persona, uomo di sdegnoso piglio, e che a niun’altra cosa poneva mente, se non a’ soli volumi rosi da’ vermi e stampati in lettore nere. Attendeva egli, certo, a comporre qualche opera di grave erudizione, utile ad esser comprata da chiunque desiderasse riputazione di letterato; sedeva sopra il più alto palchetto della biblioteca, appoggiato sulla tavola, ma nulla leggeva. Mi avvidi che spesso egli tirava fuori dalla tasca un frusto di biscotto, che rosicchiava: se questo fosse il suo pranzo, o se egli si sforzasse così di cacciar via quello smungimento di stomaco prodotto dai molto meditare sulle polverose opere, meglio di me lo potrebbero dire quegli studenti che più soffrono.
Ci era un gentiluomo bassetto, e tutto gaio, vestito con abito di color chiaro, con una tal quale aria di gioviale, chiacchierino, e che aveva tutta la sembianza di un autore, in buona amicizia col libraio. Dopo di averlo ben bene squadrato, [lo riconobbi per un diligente raffazzonatore di opere miscellanee, che esercitava egregiamente il suo mestiere. Io era ansioso di sapere come questi manifatturasse le sue mercanzie. Egli faceva più strepito, e mostravasi infaccendato più di ogni altro, leggendo alla sfuggita vari libri, e dimenandosi stranamente sopra i fogli de’ manoscritti, prendendo un brano dall’uno, un brano dall’altro, e dove un verso e dove un pre-