e che ha tante montagne, e che non solamente da fuoco, ma potrebbe avere legnami da fabrica a suo piacere. A questo ci ha ridotto la pazzia del coltivar tutto, benchè inutilmente, e il tagliare i boschi, e il disertare i monti, che ognuno si è preso arbitrio di fare. Ma sarebbe sopportabile il danno di doversi proveder di legnami e da fuoco e da opera sul Trentino, se continuasse almeno ciò che nel passato fu in uso, e che si legge nella Storia di Trento del Mariani a carte 140, dove parla delle selve di vai Rendena: e tutto questo legname ordinariamente si converte in vino per concambio. Questa è la natural legge, che l’un vicino dia, e dall’altro prenda, secondo ciò di che l’uno scarseggia ed abbonda l’altro. Ma poichè ora al nostro vino in quelle parti, per artifizio d’alcuni particolari molto nocivo a quel paese medesimo, resta chiuso l’adito e dato esilio, e poichè da ciò tanto danno torna a gran tratto del territorio nostro, ragion vorrebbe che a qualche provedimento si ponesse mano, per obligare a qualche spezie di cambio, e a ragguagliar la partita. Chi crederebbe ancora, che oltre a quaranta mila ducati vadano annualmente alle parti di Reggio per porci, che ne vengono, quando niun paese è più atto di questo a quercie e a roveri, e niun altro n’ebbe già in maggior copia? Potrebbesi almeno obligare i paesi, che gli mandano, a prender da noi, per cagion d’esempio, una tal quantità delle nostre manifatture di lana. Ma in somma basta svegliarsi, ed esser operosi, e non abbandonare il negozio appunto quando le facoltà