per entrare nella carriera Ecclesiastica, l’innata pendenza alla disoccupazione, fa fingere e ricordar con applauso insuperabili opposizioni e difficoltà. Molto adattato all’inclinazione è parimente quel bizarro instituto che da poco più di due secoli fa venne prendendo piede, e del quale niuno è stato all’Italia più fatale, cioè che il vivere in ozio sia il primo requisito alla nobiltà. In molto diverso stato con massima diversa è venuta l’Inghilterra, dove un fratello va Lord nel Parlamento, l’altro nell’istesso tempo attende al negozio nel banco. Molto differente fu altresì lo stato di queste nostre città, quando reggendosi a popolo, non potea entrar ne’ Consigli chi non professava alcun esercizio, e non poteano entrarvi i Grandi, nè aver parte al governo, se non si matricolavano in qualche arte o professione; quasi non meritasse di partecipar della publica autorità, chi non mostrava di contribuir con l’opera sua qualche cosa alla società civile. Malamente in ciò è stato interpretato, e malamente ampliato l’uso, a cui venner ridotte le pruove di nobiltà nelle religioni Cavalleresche di Malta e di Santo Stefano. Cammina bene, che non s’impieghi in altro mestiere quella persona che assume obligo di profession militare; ma perchè gli altri di quella casa che occupazion non hanno, nè da publici affari, nè da reggimento di famiglia, e che non hanno apertura di prender servizio in guerra, o genio per farsi di Chiesa; perchè, dico, non potranno senza degrado di condizione impiegarsi nel traffico, o in arte ingegnosa, o in mestier di penna? Somma disgrazia