di letto e che non ha niente meno di dieci braccia per diametro, è tutta d’un sol pezzo i pietra d’Istria. Bell’impresa sarebbe stata per Longobardi o per Goti il lavorare, trasportare e collocare in quell’altezza sì fatta mole. Par quasi impossibile, dice il Vasari nel Proemio alle Vite, che un sasso di quella sorte fosse tanto in alto collocato. Ma in questa nostra città osservisi la porta del Duomo, e la sveltezza dentro delle colonne che distinguono le navate, tenuta dall’Architetto per non ingombrare, e le belle volte pochissimo arcuate e incrociate da cordone di bella pietra lavorato vagamente, benchè a nostri giorni stolidamente imbiancato. Osservinsi le muraglie di S. Zeno, e il suo campanile, metà del quale si fece nel 1045, e nel fianco della Chiesa si noti, come faceano anche architrave, fregio e cornice, ma tutto d’invenzione e di capriccio, com’è anche nel basso lo strano ornato delle colonnette: osservisi altresì l’Occhio, cioè la rotonda fenestra ch’è nell’alto sopra la porta, e dà lume alla Chiesa per l’avanti molto oscura. L’ingegnoso artefice con bizarro disegno la fece in forma della ruota della fortuna con sei figure intorno all’ultimo giro; altri siede, altri ascende, altri precipita capitombolo. Apparisce come durava ancora l’uso Romano di mostrar qualche intenzione ne’ lavori, e di rappresentar sempre qualche cosa. L’istesso artefice fece per battezare gran vaso di pietra ottangolato, che tutto d’un pezzo e sottilmente incavato si vede nel fondo della Chiesa. Il costui nome fu Brioloto, usalo da più