lia, e soli de’ Galli nel prim’anno senza ribellarsi mantenner fede, e nella battaglia al fiume Trebia stettero co’ Romani. Ma cambiarono ben tosto anch’essi al vedergli allontanati, e dall’avversa fortuna abbattuti: però nelle giornate al Trasimeno e a Canne non si veggon più Galli se non nell’esercito d’Annibale; e tra’ popoli passati allora al suo partito, dichiara lo Storico che furono i Galli cisalpini tutti (Liv. lib. 22: et cisalpini omnes Galli). Quindi è che nel 548 Piacentini e Cremonesi mandarono Legati a Roma per querelarsi delle incursioni e de’ saccheggi che da’ vicini Galli soffrivano (lib. 28). Terminata con tanta gloria de’ Romani quella guerra, l’anno susseguente 554 Insubri, Boj e Cenomani, fattosi duce Amilcare, che rimaso era fra loro, e suscitati più altri popoli, abbrugiaron Piacenza ed invaser Cremona: rotti però e disfatti da Lucio Furio pretor della Gallia, che n’ottenne a Roma il trionfo (Liv. lib. 31). Tre anni dopo ribellaron di nuovo: separatisi però i Consoli, Cornelio Cetego marchiò contra gl’Insubri, i quali presi seco i Cenomani, come parla Livio (l. 32: Cenomanis assumtis), s’erano ritirati al fiume Mincio. Il parlar di Livio ben mostra che i Cenomani non si stendeano fuor del Bresciano, poichè nel marchiar gl’Insubri al Mincio, gli presero seco. Quivi Cetego, avendo col mandar ne’ villaggi de’ Cenomani ed in Brescia, che di quella gente era capo, compreso non esser essi in armi per publica deliberazione, gli sollecitò nascostamente ad abbandonare i compagni, come nella battaglia fecero; avendo