del Calfurnio, nè d’altro Bresciano, ma di persona che poca notizia avesse dell’acque di Brescia, e de’ nomi loro. Finalmente molto è notabile l’essersi già osservati due testi a penna senza quel distico: l’uno in Padova nella Biblioteca Capitolare, che non l’ha in nissun modo; l’altro in Verona, cioè il 329, del Museo Saibante, che par venuto da buon originale, e che l’ha solamente aggiunto sotto d’altro inchiostro e per altra mano. Ognun vede valer più in questo caso un codice che non abbia, di cento che abbiano, perchè non si tratta d’una o due parole che potessero credersi sfuggite involontariamente a’ copisti, ma di due interi versi. Dover vuole che si renda qui giustizia al nostro dotto Avversario in tal controversia, poichè da lui è venuta la prima notizia di detti codici, quella candidezza avendo in ciò fatto conoscere, che da’ veri Letterati non va mai disgiunta. Nè punto è nuovo ch’altri per uno o per altro fine si sia preso gusto di cacciar qualche verso ne’ Poeti: il segnar gli spurii fu però appunto inspezion principale degli antichissimi Critici; onde essendo stata in Cicerone rimessa una controversia simile sopra alcuni versi, io, diss’egli, quasi antico Critico giudicar debbo, se sien del Poeta, o vero mal inseriti (Fam. l. 9, ep. 10: Ego tamquam Criticus antiquus judicaturus sum utrum sint τοῦ ποιητοῦ an παρεμβεσλημένοι). Per fine, poichè si pugnava al presente con un verso di Catullo per mostrar Verona de’ Cenomani, come si pugnò già con un verso d’Omero per provar Salamina dell’Attica, leggia-