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libro settimo 269


Ma per vedere in questo punto ben chiaro, e riconoscere quanto s’ingannasse il Panvinio (Imp. Rom.): e dietro lui tant’altri nel creder d’Adriano quella distribuzione dell’Italia, e delle provincie, ch’ei vide in Autore del quarto secolo, basta riflettere alla generalità delle cose e a tutto il complesso delle notizie. Lunga serie potrebbe addursi di passi d’antichi Giurisconsulti e Scrittori, ne’ quali apparisce, come per tutto il terzo secolo Cristiano si continuò a distinguer dalle provincie l’Italia, essendo quelle sotto i Presidi, ma non questa. Scorgesi parimente e ne’ monumenti e ne’ libri, come la division d’Italia in diciassette parti, che veggiam dopo Costantino, non si presenta mai per l’innanzi. Se tu osservi l’Epistole di Plinio il giovane, tu lo vedi passar per affari ora in Toscana, or ne’ Traspadani, cose quivi per interesse suo e degli amici operando, nelle quali senza i Presidi di dette parti non si sarebbe potuto fare: il che sia detto per chi crede anche prima d’Adriano amministrata come provincia l’Italia. Scrive Sparziano che Adriano diminuì alle Provincie la contribuzione dell’oro Coronario, e che all’Italia la donò del tutto. Della medesima imposta scrive Capitolino, che Antonino Pio la pagata per suo motivo agl’Italiani rese tutta, a’ Provinciali per metà (Italicis totum, medium Provincialibus). Di Adriano narra il sudetto Autore, come nell’abolire i debiti, che tanti aveano col Fisco, una regola tenne con le Provincie, un’altra con la città e con l’Italia (in Urbe atque Italia; in Provinciis vero, ec.). Stimò il Salmasio (ad Spart.