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libro settimo 267

dette nell’Imperio. Ma questo non fu stabile provedimento, vedendosi in Capitolino come dismesso. Marc’Aurelio volle in parte rimetterlo, non deputando però uomini Consolari, ma persone di minor riguardo con nome di Giuridici. Costoro avean limitata giurisdizione, poichè notasi di uno, come cosa singolare in una lapida, che fu Giuridico d’ogni somma (Grut. 1090, 13): tanto meno però è da credere avessero autorità nel criminale, onde s’accostassero alla figura di Presidi. Di Quinziano Giuridico per la Puglia abbiam nel Museo grandissimo piedestallo (v. Ins. XXXIX) che giacea prima in un villaggio a tre miglia da Treviso, e gli fu dedicato da alcuni servi suoi. Costui fu de’ tempi di Commodo, come in altra simile iscrizione si riconosce (Gr. 45, 9): era stato Proconsole della provincia Sardegna, perchè la Sardegna non era allora Italia, ma provincia. Un Giuridico per l’Emilia e per la Liguria ci diede il Fabretti (Ins. p. 411)· Questi Giuridici furono aboliti sotto Macrino, perchè volean prendersi maggior autorità della conferita loro da Marc’Aurelio. Tanto si ricava da un passo de’ Frammenti di Dione (Leuncl. p. 898: Δικαιονόμοι οἱ τὴν Ἰταλίαν), che pare a noi doversi render così: i Giuridici, che aniministravan l’Italia, ebbero fine, giudicando sopra il prescritto da Marco. Si tornò però all’ordine che avanti Adriano correa. Malamente ridotta da lui l’Italia in provincia, e continuata in tal condizione, hanno stimato molti, non meno per la deputazione de’ sudetti Giudici, che per aver detto Vittore come