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234 dell’istoria di verona

vino che riluce come lattea bevanda, poichè sarà più mirabile, come più difficile da rinvenire. Bella bianchezza è in esso, e chiara purità, di modo che quello da rose, questo si crederebbe nato da gigli. Diverso per colore, somigliante è però nel sapore; vario è l’aspetto, ma pari nell’uno e nell’altro la soavità. È a lor comune l’aver sapore acuto, e il rinvigorir subito; ma molto differente hanno l’apparenza: tu vedi questo lietamente rosseggiante, e miri quello gioviale per candidezza. E perciò sia prontissima la perquisizion di essi, quando ugnalmente desiderabili ambedue si ravvisano.»

Chi vorrà con questo volgarizzamento riscontrare il testo, conoscerà, come abbiam letto in thecis aulicis, dove le stampe portano Enthecis, ἐνθήχαι1, col qual Greco nome s’intendono nelle Pandette le doti delle possessioni, cioè que’ strumenti rustici che vi si trovan sopra; ma ciò non ha in quel luogo a far punto. Abbiamo ancora letto Carrariis, dove le stampe hanno Chartariis, non facendo quivi Cartarii a proposito: non si sarà forse più veduto carrarius, ma potea farsi da carrus, come carrucarius da carruca usò Ulpiano, ed altri. Per Possessori Veronesi s’intendono i Decurioni, col qual nome spesso si chiamavano in quell’età. Appare che il secondo vino ancora, il qual era bianco e più raro, si facesse nel Veronese, essendo tanto simile nella

  1. V. Muratori, Antiq. Med. Ævi, t. 2, pag. 1198.