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libro sesto 215

di Roma fosser rampolli, o pur, se di basso stato, e fors’anco di vile e di straniero lignaggio. Tito Cassio Severo, a cagion d’esempio, orator famoso, con tre nomi Romani ci viene innanzi, e con gentilizio de’ più antichi e de’ più illustri: non pertanto c’insegna Tacito (Ann. lib. 4) ch’ei fu di sordida origine. D’alquanti Greci di mal affare, e che non erano cittadin Romani, disse Cicerone (Verr. 5: jampridem improbi, repente Cornelii), come tristi erano da gran tempo, Cornelii di repente. Basta ricordarsi, come i servi fatti liberi, il prenome c il nome gentilizio assumevano del padrone, o di colui per cui la libertà conseguivano. Questo bastava a riempiere il mondo degli stessi nomi, perchè i Grandi servi aveano infiniti, e ne liberavano a torme. A dieci mila in una volta diede la libertà Silla, ch’erano stati servi de’ morti nella Proscrizione, dando loro insieme il nome di Cornelii, come narra Appiano (Civ. lib. 1). E si dee avvertire che ben si conoscono i servi nelle iscrizioni dall’esprimersi la condizione in cui passavano di liberti; e spesso anche dal proprio nome, che in luogo di cognome [sopranome potrebbe dirsi in oggi] riteneano, massimamente s’eran Greci: ma non è così de’ figliuoli, e discendenti loro, a’ quali della schiatta servile niun vestigio rimaneva. Assumevansi ancora i nomi per cittadinanza ottenuta: però nomina Cesare (Bell. Gall. lib. 1) un Caio Valerio, che per dono di Caio Valerio Flacco l’avea: in tempo dell’Imperador Claudio vennero accusati molti, perchè avuta da lui la cittadinanza non ne por-