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libro sesto 203

essa non usati, mentre parla così (lib. 33: Αὐτὰ μὲν γὰρ τὰ ὠνόματα, ec. ): imperciocchè i nomi stessi di Pretore e di Console in Italia ritenne: tutti quelli che aveano imperio fuor di essa, talmente denominò, che apparisse esercitar le veci di questi. Annotazione che porta il nome di Gudio nel Grutero (ad 375, 4), ma è copiata dal Pancirolo (Not. Imp. Occ. c. 49), la cui grand’opera fu scorrettamente stampata, afferma che Pretore a ciascuna delle undici regioni fu da Ottaviano imposto, e ne cita in pruova Strabone, Plinio e Dione, i quali non sognarono mai per ombra tal cosa. Ma non occorre in punto così chiaro spender più parole. Una sola riflessione aggiungeremo ancora. Come potea, prima che si confondessero gli ordini e i diritti antichi, mandarsi Preside in que’ paesi che godeano la cittadinanza Romana in universale? I Presidi sopra’ cittadini Romani non aveano autorità, onde che ci avrebber eglin fatto in Italia, dove tutte le città in corpo erano di tal condizione? Noi reggiamo che S. Paolo (Act. XXII, 25) legato già per ordine del Tribuno, che volea farlo flagellare, quando disse esser cittadino Romano, convenne subito disciorlo. Esagerò Tullio (Orat. 7) fieramente il delitto di Verre, Pretor di Sicilia, per aver fallo legare e battere, indi morire un Publio Gavio della città di Cose, ch’era ascritto alla Romana cittadinanza. Plinio Preside di Bitinia, mentre inquiriva contra Cristiani, professando alcuni d’esserne francamente, scrisse a Traiano (lib. 10, ep. 17: quia cives Romani erant, in urbem re-