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libro sesto 197

la tribù Scapzia; ma potrebbe esserci stata portata d’altronde, poichè della Scapzia era Altino. Tuttavia non siamo in ciò per fissar parere, ma per lasciare ognuno col suo: certo bensì è che città diversa fu Giulio Carnico, di cui scrisse Tolomeo, trovarsi tra l’Italia e ’l Norico (lib. 2, c. 14), e di cui rimanere il nome anche oggi giorno, e qualche reliquia nella Carnia montana, vien detto. Ricorda Plinio per fine le città che in tal tratto erano già state, ma eran poi perite. Son tra queste Celina, Segesta e Norea; ma poichè a tempo di Plinio eran già distrutte, non pare a proposito di cercarne conto nelle posteriori ch’ebbero simil nome: di Celina addusse una Romana iscrizione Enrico Palladio, che non solamente è falsa, ma ridicola. Parrà strano che Plinio non registrasse la città di Ceneda, a chi avrà osservata l’iscrizione de’ tempi di Tiberio, recitala dal Grutero (228, 8), ed approvata non che da più altri, ma fin dal Noris e dal Cellario, in cui si legge Decuriones et Populus Cen. ovvero Cenet., interpretato per Ccnetensis; ma l’insigne lapida veduta da noi in Firenze porta chiaramente cenarent, e così doversi leggere conferma il contesto. E notabile che in tutta questa regione colonie non chiama Plinio se non Brescia, Cremona, Concordia, Aquileia, Trieste e Pola, perchè in queste sole aveano i Romani ne’ tempi della Republica mandati da Roma coloni ad occupar buona parte de’ terreni e delle case, ed a tener quelle genti in dovere, e non chiama colonie Verona, nè Padova, nè altre città de’ Veneti, perchè que-