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180 dell’istoria, di verona

(pag. 122) non trovarsi chi possa nè pure additarne il sito, o pensar dove ne fosse il distretto; esser però state senza dubbio città dei Cenomani anche per opinione dell’Olstenio, del Baudrant e d’altri. Ma noi le additeremo ora facilmente; e sarebbero facilmente state anche dagli altri scoperte, ove si fosse depurata la mente dal pregiudizio che queste dovessero esser città. Strano parà forse a molti il voler noi persuadere che civitates non fosser città,e pur non erano1. La voce civitas non ebbe solamente il significato oggi più comune di città, ma un altro ancora, che presso Latini fu anzi più frequente, cioè di Comunità, Republica, corpo civile formato da un tratto di paese, talvolta con più città, talvolta con soli villaggi: quello che Strabone in Greco (lib. 9: μέγιστον τῶν Θετταλῶν σύστημα), parlando de’ Tessali e d’altri, chiama sistema, ch’è quanto dir sozietà e moltitudine unita. Chi non ha quest’avvertenza, come intenderà Cesare, ove dice urbem, quae praesidio sit civitati (Bell. Gall. lib. 7)? Come Plinio, ove ha, Cemelio esser oppido della città (lib. 3, c. 5)?2 Come Tacito (Hist. lib. 4, c. 68), ove scrive che le città delle Gallia si ragunavano nel paese de’ Remi? Come l’Epitome Liviana (lib. 65) che nota, i Tigurini essersi separati dalla città degli Elvezii? Come Vopisco (in Aurel.) che parla

  1. A questo luogo comincia una segnatura con linea a traverso, che mostra volesse forse l’Autore farvi qualche modificazione, e ivi cita in margine il passo di Plinio: Rheti et Vindelici omnes in multas civitates divisi. — Gli Editori.
  2. Se ne può citar mille esempi di Cicerone.