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libro quinto 169

nicip. ), quel rito che avanti la cittadinanza Romana correva, e che vollero i Pontefici si servasse anche dopo. A questo son da riferire gli Dei non comuni e non Romani, detti da Minuzio Felice Municipi (cap. 6), e da Tertulliano per ischerzo Dei Decurioni, essendo ristretto dentro un recinto di mura il loro onore e la loro autorità. Furon di tal genere i mentovati nel primo libro Cuslano e Udisna, quale presso i suoi divoti non passava già per da riporre nella plebe de’ Numi, poiché nella lapida le si dà titol d’Augusta. Questi Dei locali alle volte erano meri sogni, alle volte memorie d’uomini ch’avean beneficato quel popolo, e bene spesso erano i Dei comuni venerati sotto altro nome. Se i due sudetti fossero anche dalla città riconosciuti, o solamente, com’è facile, da que’ colli ove si son ritrovate le lapide, non si potrebbe con certezza decidere. L’una di esse è dedicata al Genio del Pago degli Arusnati ( V. Tav. I, num. 4). Pago ora significò terra grossa, ed ora numero di vici, o tratto di paese da una Comunità compreso: in questo senso l’usa Cesare dove scrive che tutta la Republica degli Elvezj in quattro Pagi era divisa (lib. I, c. 12).

In tempo d’Augusto tre grand’uomini di questa città, o del suo distretto, fiorirono, che vissero per lo più in Roma: Cornelio Nepote, Vitruvio ed Emilio Macro. Nepote fu eccellente istorico, Vitruvio il maestro degli architetti, e Macro poeta molto lodato. Non diremo di ciò più innanzi, perchè le particolarità di essi, e le pruove o le congetture del-