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libro quinto 159

tribù si è veduto, nè si vedrà mai verun nome in sincera lapida; poiché si potea bensì per più casi passare dall’una all’altra, come Augusto fece, ma non mai nell’istesso tempo averne o professarne due: che se due n’avessero professate gli adottati, non una ed altra, ma infinite lapide vedremmo con due tribù, mentre infiniti son gli adottati che in esse abbiamo, e nulla fu più frequente nè più comune fra’ Romani delle adozioni con incredibil danno delle città, e della società civile, e delle famiglie ne’ moderni tempi dismesse. Quanto alla congettura dedottane, per aver creduto Macro Bresciano, che Brescia mandasse a Verona i Magistrati; siccome Veronese fu Macro sicuramente, ed ebbe qui suprema dignità, e in Verona nominata prima fu Questore, ed il fu anche in Brescia; così voleasi da molti ritorcer la congettura, e dedurne che a Brescia si mandassero i Magistrati da Verona; il che si renderebbe mollo più verisimile dal sapersi che Verona in que’ tempi era tanto maggior città, come vedremo fra poco. Ma siccome dee tenersi per fermo, che chi propose l’accennato pensiero il facesse per mero scherzo e per esercizio erudito; così da ciò proporre dissuade noi la gravità dell’Istoria. Niente sarebbe più contrario, nè più lontano dall’ordine e dal sistema de' tempi Romani, che il pensare ch’una città avesse giurisdizion sopra un' altra, e ch’una colonia mandasse all’altra i Magistrati. Noi abbiam veduto, come nelle città nè pur si mandavano i Magistrati da Roma, e come ognuna, piccola o grande che si fosse, se gli faceva