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libro quarto 113

gente alla grandezza di Roma, o perchè avesse in animo d’acquistar voti per le leggi Agrarie che insieme con Caio Gracco meditava, propose di fargli tutti cittadini Romani (Ap. Civ. lib. 1): ma ucciso l’uno e l’altro ne’ tumulti perciò seguiti, trent’anni appresso Livio Druso tribuno della plebe, uomo di rettissime intenzioni, promise agl’Italiani di nuovamente promuover tal legge; ma prima di poterlo fare restò assassinato miseramente: per lo che irritati i popoli, e invaghiti della promessa Republica, si sollevarono, e ne seguì quella orribil guerra che in poco più di tre anni due Consoli, e se crediamo a Patercolo (l. 2), trecento mila Italiani che avean prese l’armi in varie parti, rapì e distrusse. Bolliva essa fieramente ancora, quando con legge detta Giulia dal console Lucio Giulio Cesare, che nell’anno 664 la promulgò, fu comunicata la cittadinanza Romana a tutti que’ popoli che in tanta procella si erano mantenuti fedeli a Roma; con che tutto il Lazio e buona parte dell’Etruria la conseguì: e dalla parte di là arrivò tale indulto fino ad Eraclea sul golfo di Taranto, come da un passo di Cicerone per Balbo si può ritrarre. Nè terminò tal guerra, che seguita l’aggressione di Cinna, e principiati già i moti di Mario e Silla (App. Civ. lib. 1), tutti i paesi che secondo l’ordine del politico si diceano Italia, della cittadinanza onorati furono dal Senato, a riserva de’ Lucani e de’ Sanniti, cui fu differita, per essere stati gli ultimi a depor l’armi (Gell. lib. 4, c. 4). Secondo l’uso anche qui si andò per gradi: si diede prima la cittadi-