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dell’istoria di verona libro quarto |
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ni; e de’ Sabini disse Servio, fu decretato si facesse di essi e de’ Romani un sol popolo (ad Aen. 7); altri ammisero alla Republica in varj modi, e parteciparono ad altri quando più quando meno le Romane prerogative e i diritti. In primo luogo adunque comunicarono a que’ popoli da lor vinti, che bisogno n’ebbero o che così bramarono, le leggi al privato essere di ciascheduno spettanti; talchè intorno allo stato degli uomini, alla patria podestà, a’ matrimonj, a’ testamenti, alle successioni, al dominio nelle facoltà, alle eredità ed a’ contratti, fosse l’istesso il gius degli uni e degli altri. E perchè alcuni le proprie aveano, e più dell’istessa cittadinanza Romana le aveano care, come da un passo di Cicerone (pro Balb.) singolarmente apparisce, a cotesti di viversi con esse liberamente si permetteva. Alcuni paesi furono esenti dalle imposte: d’alcun popolo o città furono aggregati gli uomini al grado di cittadini Romani, ma senza gius di suffragio: anche il suffragio fu conceduto ad altri, ma dipendente dalla volontà de’ Consoli, e quasi per grazia, non per legge. Città vi furono e popoli che l’ottennero assolutamente, e con podestà d’intervenire a’ Comizj e dar volo: finalmente anche della capacità de’supremi onori, che vuol dire di tutto l'esser Romano, a più genti fu fatto dono. Ricordava però Terenzio Varrone (ap. Liv. lib. 33) a’ popoli della Campagna, come i Romani aveano già lor concedute le proprie leggi e la colleganza, e a gran parte di essi la cittadinanza ancora; e rappresentava Valerio Levino agli Etoli, come uso