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libro terzo | 79 |
nel fatto, poichè scrive Lucio Floro (l. 4; c. 13; trucidatis qui tum aderant ab Urbe Legatis) che gli uccisi allora dagli Ascolani furon Legati mandativi da Roma, e non Proconsole alcuno; ed errò ancor più nella congettura; poichè s’anche vi si fosse ucciso un Proconsole, cotesto sarebbe stato Magistrato straordinario mandato per la nuova insorgenza; nè era mai ragionevole il pensare che di un tal uso e di tanti annui Proconsoli dell’Italia non fosse rimasa nell’Istoria memoria alcuna. Non si può dire quanta confusione e quanti errori abbia nell’erudizione introdotti il fondarsi talvolta in passo unico ed in ambigue parole d’un Autor solo, senza considerare il complesso delle cose, e senza risguardo al generai riscontro delle più sicure notizie. L’Italia in tal modo sarebbe stata nell’istessa condizione delle provincie: ma perchè dunque si sarebbe continuato per più secoli ancora dagli Scrittori, e ne’ monumenti tutti a distinguer sempre Italia e Provincie, e a suppor diversa la condizion degl’italiani e de’ Provinciali?
Queste parli pochissimo stettero a diventar interamente Romane. La lingua Latina par che molto presto ci si adottasse, poichè a tempo di Cicerone obliterate già ci par qui di riconoscere l’antiche lingue, e la Romana fatta comune, benchè non così colta nè così pulita, com’era in Roma. In tal congettura ci conducono le parole di Cicerone a Bruto nel Dialogo de’ Chiari Oratori, ove narrando come oratori di vaglia si fossero trovati anche fuor di Roma tra Sozii, e Rusticello Bolognese tra