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92 le cerimonie


che mi rallegro dell’aver trovato

il cagnolin perduto e mi condolgo
della gran macchia che sento abbi fatta
su la sua veste nuova, e ch’io se vuole
manderò lá chi le cava benissimo.
Avverti di non dir cento spropositi,
peggio che pappagallo.
Trespolo.   Ora sto fresco.
Né tordo mai, né merlo nella ragna
fu sí impacciato com’io. Ma, signora
padrona, e’ ci vorrebbe un libro e appresso
ch’io ci sapessi scriver tanto morbo
di nomi e di faccende. Ersilia, Lucio,
Flavia, Frittola, Muffa, denti, macchia,
scirocco; e poi ci sono i dieci. O povero
di me!
Aurelia.   Ah! balordaccio, se trattassesi
di mangiare o di ber, tu assai piú cose
ti terresti a memoria.
Trespolo.   Io mi penso
che la stia a desinare in casa Spergoli.
Aurelia.   Io vi sto presso ch’io non dissi; e per
qual ragion pensi tu questo? Al contrario
convien spicciarsi; ch’io vo tornar tosto:
avrò fra poco visita.
Trespolo.   Che, dunque
avanti desinar io debbo andare
in tanti luoghi? Ci vorria il folletto.
C’è da far fin dimani.
Aurelia.   O bel poltrone
che tu se’ fatto oggidí! Tu staresti
a dormir tutto di chi ti lasciasse.
Trespolo.   Avrei d’avanzo di poter dormire
la notte io: ché la non si può durare
andar sí tardi a letto e levar di
buon ora. Se non fosser le mezz’ore