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atto quinto 67


sperando il bene e sostenendo il male.

Euriso.   Ma perché tu, che forastier qui sei,
non vai nel tempio a rimirar la pompa
del ricco sagrificio?
Polidoro.   Oh! curioso
punto i’ non son; passò stagione, assai
veduti ho sagrifici. Io mi ricordo
di quello ancora, quando il re Cresfonte
incominciò a regnar. Quella fu pompa!
Ora piú non si fanno a questi tempi
di cotai sagrifici. Piú di cento
fur le bestie svenate; i sacerdoti
risplendean tutti, e dove ti volgessi,
altro non si vedea che argento ed oro.
Ma ben panrmi che a te caler dovrebbe
l’imeneo de’ tuoi re.
Euriso.   Deh, se sapessi
in che dee terminar tanto apparato
di gioia! Io non ho cor per ritrovarmi
presente a sì funesto, orribil caso.
Polidoro.   Qual caso avvenir può?
Euriso.   S’hai giá contezza
di questa casa, tu ignorar non puoi
quanto a Merope amare e quanto infauste
sien queste nozze. Or sappi ch’ella in core
giá si fermò, dove a sì duro passo
costretta fosse, in mezzo al tempio, a vista
del popol tutto trapassarsi il core.
Cosí sottrarsi elegge, e si lusinga
che a spettacol sì atroce al fin si scuota
il popol neghittoso e sul tiranno
si scagli e ’l faccia a pezzi. Ella è purtroppo
donna da ciò; senz’altro il fa. Sull’alba
mandò per me con somma fretta; il cielo
fe’ che non giunsi a tempo; ella per certo
darmi volea l’ultimo addio. Infelice,