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64 la merope


Polidoro.   Or Merope si chiami. Io di condurla

a te lascio il pensier. Precorrer voglio
ed ostentarmi al volgo, esso schernendo
che non ha mente, ed i suoi sordi dèi
che non ebbero mai mente né senso.
Qual uom, qual dio tòrmi di man lo scettro
potrebbe or piú, poiché son ombra e polve
tutti color che giá potean sul regno
vantar diritto? Il mio valore, Adrasto,
il senno mio furo i miei dèi. Con questi
di privato destin scossi l’oltraggio,
e fra l’armi e fra ’l sangue e fra i perigli
a un soglio alfin m’apersi via; con questi
io fermo ci terrò per sempre il piede.
Fremano pur invan la terra e ’l cielo.
Parmi Merope udir; di lei tu prendi
cura, e s’ancor contrasta, un ferro in seno
vibrale al fine; e se con me non vuole,
a far sue nozze con Pluton sen vada.

SCENA III

Merope, Ismene e Adrasto.

Merope.   O qual supplizio, Ismene, o qual tormento

Ismene.   Fa core al fin.
Merope.   Mai non mi diero i dèi
senza un ugual disastro una ventura.
Ismene.   Vinci te stessa e ai lieti dì ti serba.
Merope.   Cresfonte mio, per te soffrir m’è forza.
Adrasto.   Reina, io pur t’attendo: or che piú badi?
Merope.   Di malvagio signor servo peggiore.
Adrasto.   Ad opra cosí lieta in mesto ammanto?
Merope.   Del sommo interno affanno esso fa fede.
Adrasto.   Offende quest’affanno il tuo consorte.