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canto quarto 393


cadmei cinquanta contro lui che indietro
ritornava in agguato giovin posero,
de’ quali due eran duci, a’ dèi simile
460Meone Emonio e figlio d’Antofane,
piè fermo in guerra Licofonte. A questi
ancor Tideo la cara vita tolse,
tutti uccise ed a un sol che ritornasse
permise a casa; rilasciò Meone
465e a’ cenni il fe’ per ubbidir divini.
Tal fu l’etolio Tideo, ma peggiore
in guerra e sol ne l’arringar migliore
un figlio generò. — Tacque ed il forte
Diomede non parlò, del re supremo
470rispetto avendo al favellar; ma tosto
del gran Capáneo il figlio a lui rispose:
— Atride, non mentir, che dir il vero
ben puoi. De’ nostri genitor migliori
noi ci vantiam; la settiporte Tebe,
475al muro marzial turba minore
guidando, noi prendemmo de gli dii
ne’ segnali affidati e del gran Giove
ne l’aita fedel; color allora
per le lor proprie iniquitá perirò;
480però in onor non pormi i padri eguale. —
     Torvo guatollo il forte Diomede
e disse: — Amico, taciturno siedi
e fa a mio senno. Io col pastor de’ popoli
Agamennon giá non m’adiro, allora
485che i gambierati achei spinge a battaglia,
perocché a lui gloria verrá, se i Greci
spenti i troiani il sacro Ilio abbattranno;
ed a rincontro alto dolor fia il suo,
se gli achei saran vinti. Ma va, a core
490virtú ci sia belligera. — Ciò detto,
saltò dal cocchio con tutt’armi a terra;
del concitato prence intorno al petto