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canto quarto 389


Il duce de’ cretesi Idomeneo
rispose allora: — Atride, io sarò teco
315e qual promisi ti sarò compagno;
tu gli altri eccita pur chiomati achei,
perché tosto combattasi. I troiani
fransero i giuramenti, e morte e guai
riporteranne, mentre in onta ai patti
320offeser primi. — Tacque e lieto in core
Atride trapassò. Fra turbe tante
giunse agli Aiaci, i quai s’armavan ambo
e nuvol li seguia di fanti denso.
Come quando caprar da l’alto vede
325nembo che vien dal mar da zefir spinto
e a lui da lungi negro appar qual pece,
per mar s’avanza e pioggia porta immensa,
inorridisce pauroso e sotto
una spelonca il gregge caccia in fretta;
330tali insiem con gli Aiaci ivano in guerra
di giovani guerrier dense falangi,
nere di scudi e per folt’aste orrende.
Lieto mirolle Agamennone e disse:
— Aiaci a’ loricati argivi duci,
335a voi d’eccitar gli altri io non ricordo,
ché non convien, poiché giá da per voi
tutti spronate a valorosa pugna.
O Giove padre, o Apolline, o Minerva,
tal fosse in tutti i cor, ché la superba
340di Priamo reggia andrebbe tosto a terra. —
Dopo queste parole oltra sen giva,
esplorando anche gli altri. Ne l’arguto
de’ pilii arringator Nestor s’avvenne,
che i compagni ordinava ed a battaglia
345esortava ciascuno: eran d’intorno
Pelagonte, Alastor, Croinio, il re Emone
e Biante rettor di navi e genti:
erano in fronte i cavalier co’ carri,