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384 dell’iliade di omero


i compagni, acciocché de’ greci i figli,
prima che Menelao de’ greci duce
135colpito fosse, non prendesser Tarmi.
Egli il coperchio a la faretra tolse
e pennuto ne trasse e nuovo strale
di foschi guai strumento ed adattollo
al nervo: al Licio Apollo inclito arciero,
140allorché a’tetti suoi ne la sacrata
Zelia fésse ritorno, offrir promise
di primi nati agnelli ampia ecatombe.
Trasse insieme la crena e i bovin nervi,
la corda accostò al petto, a l’arco il ferro;
145ma posciaché curvato in cerchio e teso
fu, il grand’arco fischiò, ronzò la corda,
l’acuto strai fuggi dentro la turba
bramoso d’arrivar. Né però i numi
te obliar, Menelao; sovra tutt’altri
150la di Giove figliuola predatrice
che innanzi a te si pose e la letale
saetta deviò, nel corpo interno
di penetrar vietandole, qual madre
che talvolta cacciar mosca si vede
155da bambino sopito in dolce sonno.
Ella la volse, ove del balteo aurato
strignean le fibbie e doppio si opponeva
il torace; lo strai ne l’assettato
cinto diede e ben fatto, trapassollo,
160cosi la fascia qual da’ colpi il corpo
assicurava e che giovò di molto;
giunse il ferro però a la prima pelle
e tosto il nero sangue uscio. Siccome
quando meonia o caria donna avorio
165tinge e purpereo rende, acciocché adorni
de’ destrieri la bocca e giace intanto
in stanza, cavalier di farne pompa
bramando molti, ma pel re si serba