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canto terzo 377


Vener qual dèa, perché in caligin folta
l’involse e collocollo in profumato
talamo. A Eléna se n’andò da poi
460e la trovò ne l’alta torre: intorno
molte stavan troiane. Con la mano
tirò la bella veste e la riscosse,
poi favellò, d’antica vecchia preso
il sembiante lanifica che in Sparta
465oprar lane solea, molto a lei cara.
Simile a quella favellò la dèa.
— Vieni, Alessandro che tu torni chiede.
In stanza e nel ben lavorato letto
egli è e per beltá splende e per veste.
470Non si direbbe da battaglia ei venga,
ma vada al ballo o dal danzar tornato
stia sedendo. — Si disse e il cor le mosse.
Ma de la dèa la bella gola e gli occhi
splendenti ravvisando ella ed il petto
475da desiarsi, da stupor fu presa;
poi queste voci proferi e nomolla:
— Diva, perché cosí brami ingannarmi?
In quale ancor di Frigia o di Meonia
frequentata cittá mi condurrai?
480Se quivi alcun tra i popoli diversi
a te amico si trova. Ora che, vinto
Alessandro, me misera a la patria
ricondur vuole Atride, qualche nuova
frode venuta qua mediti forse?
485Vanne a star seco, oblia le vie de’ numi,
né far ritorno al ciel; presso di lui
disastri soffri e guardalo fin tanto
che sua moglie ovver serva un di ti faccia.
Io colá non andrò — vergogna fòra —
490per far suo letto; le troiane biasmo
darianmi tutte, immenso duol m’affanna. —
     Sdegnata a lei cosí parlò la dèa: