Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/382

376 dell’iliade di omero


ingiuria fe’, dammi di far vendetta,
perch’altri in avvenir tenia e all’amico
ospite che benigno accoglie alcuno
non ci sia piú ch’osi di fare oltraggio. —
     425Disse e l’asta lanciò lunga vibrando
e ne lo scudo in ogni parte uguale
del Priaineo feri. L’asta robusta
lo scudo trapassò lucido e dentro
l’usbergo di lavor ricco s’infisse;
430la tunica stracciò presso del fianco:
ei ripiegossi e si sottrasse a morte.
Sguainato allora l’argentato brando,
alzollo Atride e l’elmo in su la cima
percosse, ma in tre pezzi e quattro a lui
435d’intorno rotto caddegli di mano.
Sospirò Atride, l’ampio ciel mirando:
— Giove padre, di te piú pernizioso
nume non c’è. Del perfido Alessandro
vendicarmi sperai, ma ne le mani
440mi s’è spezzato il ferro e l’asta a vuoto
volò, né feci in lui colpo. S’avventa
in questo e lui per l’elmo equicrinito
afferra e verso i greci il trae rivolto.
Lo soffocava il trapuntato cuoio,
445che la gola stringea sotto del mento
la celata allacciando, e ben l’avrebbe
tratto ed onore conseguito immenso,
se Venere di Giove figlia avvista
non se ne fosse col suo acuto sguardo.
450Ella il cinto di toro a forza ucciso
talmente ruppe che a la forte destra
l’elmo vacuo restò, quale a’ suoi Greci
l’eroe gittò lanciando, e dagli amici
fu ricolto compagni. Egli di nuovo
455scagliossi, di portar coll’asta morte
avido, ma il sottrasse agevolmente