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canto terzo 365


agli altri, riconobbelo il marziale
Menelao e rallegrossi; qual leone
che affamato in gran corpo o di cornuto
cervo s’avviene o di silvestre capra
e’l divora, se ben fremon d’intorno
giovan, gagliardi e rapidi mastini;
tal senti gioia Menelao, scorgendo
il deiforme Alessandro e far pensando
de l’ingiuria vendetta. Però tosto
balzò dal cocchio con tutt’armi a terra.
Quando dunque apparir videi fra’ primi,
Alessandro ferir sentissi il core
e per morte fuggir si trasse addietro
fra le torme de’ suoi. Come allor quando
uomo, in serpe incontrandosi, s’arretra,
dal monte scende, treman le ginocchia,
e impallidisce il volto, così appunto
il deiforme Alessandro ne la turba
de’ superbi troiani d’Atreo il figlio
paventando appartossi. Ben lo vide
Ettore e sua viltá con aspri detti
rimproverò: — Sgraziato Pari e solo
per l’aspetto lodabil, furioso
de le donne amator, ingannatore,
deh che nato non fossi o fossi estinto
celibe! Ciò vorrei, ciò miglior fòra
di molto ch’esser qui di tutti a vista
con tal vergogna. Ridonsi per certo
di te i greci che pria prode guerriero
ti stimar dal sembiante, ma né forza
né virtude è nel cor. Cotale essendo,
compagni osasti congregar conformi,
misto a stranieri e con veloci legni
varcando il mare, a bellicosa gente
vaga donna involar nell’apio suolo,
al padre a Troia al popolo ruina,