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canto secondo 345


la ben murata Troia. Or quai fanciulli
350o quai vedove donne ai patrii tetti
di ritornar bramano a gara. In vero
duro è tornar con duol; ma s’uom s’attrista,
lungi da la consorte un mese stando
in moltipanca nave il freddo verno
355da procelloso mar sempre agitata,
o a noi da che siam qui giá si rivolge
de l’anno il nono giro. Io non mi dolgo
però, se mesti a le rostrate navi
stansi i greci; ma pur vergogna è somma
360star così a lungo e ritornar derisi.
Soffrite, amici, e rimaner vi piaccia
un tempo ancora, acciò veggiamo al fine
se vero o no vaticinò Calcante.
Peroché ben abbiamo in mente — e tutti
365ne siete testimon voi, cui le Parche
finor non assalir portando morte —
allorché in Auli per recar ruina
a Priamo ed a’ troiani i greci legni
ragunársi, faceansi agl’immortali
370d’intorno al fonte presso i sacri altari
piene ecatombe sotto verde, ov’acqua
limpida scaturia, platano. Allora
prodigio apparve insigne: orribil serpe
da l’olimpio medesimo prodotto
375di sotto a l’ara uscito, al platan venne
di rosse macchie sparso. Ivi augelletti,
teneri parti, sul piú alto ramo
eran otto, tra foglie svolazzanti;
nona era la lor madre. Esso stridenti
380gli divorò miseramente, intorno
volando giá la madre, i cari parti
piangendo; ei prese l’ala e schiamazzante
la ravvolse, ingoiando essa non meno
dopo i figli. Quel dio che il fe’ apparire