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344 | dell’iliade di omero |
sugli omeri la testa e piú non sia
chi padre di Telemaco mi chiami,
315s’io te non prendo e de le care vesti
se non ti spoglio, pallio e tonicella
e ciò che copre ove vergogna asconde,
poi con percosse flagellato orrende
e di lagrime pien dal parlamento
320a le rapide navi io non ti caccio. —
Sí disse, e spalle con la mazza e dorso
gli picchiò; ei ripiegavasi e ben calde
lagrime gli cadeano: per l’aurato
scettro sul tergo tutto sollevossi
325sanguigno lividor; ma paventando
sedè dolente e le lagrime, torvo
guatando, si tergea. Benché dolenti
sopra lui, riser tutti e fu taluno
che disse al suo vicini — Mill’opre belle
330e co’ saggi consigli e guerreggiando
fece Ulisse, ma a fé non mai di questa
la miglior, fren ponendo a le superbe
di quel villano ingiuriose arringhe.
Di far con motti temerari oltraggio
335ai sommi re non gli verrá piú in core. —
Cosí il popol parlava, ma rizzossi
l’espugnator de le cittadi Ulisse
col scettro in man. Minerva glauca a canto
in sembianza d’araldo al popol folto
340di tacere intimò, perché e vicini
e lontani il parlare udisser tutti
e il consiglio intendessero. Egli allora
saggiamente in tal modo a parlar prese:
— Atride re, te voglion ora i greci
345render di tutti i mortali il piú abietto.
La promessa non servano a te fatta,
quando venner, l’equestre Argo lasciando,
di non tornar se non gettata a terra