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canto secondo 343


troiano cavalier, per avventura
da me o de’ nostri da alcun altro preso?
O giovinetta brami per mischiarti
280con essa e a parte riserbarla? Indegno
ben è che il capo metta i greci in guai.
O vili, o vituper’, greche e non greci,
torniamo addietro e lasciam che costui
suoi doni goda in Troia, acciò conosca
285s’abbia mestieri o no del nostro aiuto.
Egli ad Achille assai di lui piú prode
anche ora ingiuria ha fatta e a forza tolto
il di lui premio pur si gode. Iroso
non è per certo Achille, anzi melenso
290e di molto, altrimenti ultimo fóra
questo che altrui facessi, Atride, affronto. —
     De le genti al pastor così Tersite
rimbrottando parlò, ma tosto a lui
appresentossi Ulisse e, torvamente
295guatatol, brusche proferí parole:
— Tersite, cicalon benché loquace
dicitor, cessa, né pretender solo
di contender co’re, ché non cred’io
fra quei che venner con gli Atridi a Troia
300peggior di te mortai si trovi alcuno.
Non aver dunque i re pur sempre in bocca,
né cicalare ingiuriandogli; cura
non ti dar del ritorno, ché per anco
a che debban riuscir si fatte cose
305a noi noto non è, né sappiam pure
se noi greci tornando avrem buon fine.
Tu, sedendo, il comun pastore Atride
villaneggi, perché molti a lui fanno
presenti i greci eroi, quinci arringando
310mordi; ma io ti dico — e questo detto
s’adempirá — s’io piú, come or qui fai,
folleggiarti vedrò, non resti a Ulisse